
Giorni fa mi sono imbattuto in questo articolo che mi ha insegnato una parola nuova: polimatia.
Prima di leggerlo sono andato a cercarla sul vocabolario della Treccani, ed è stata una vera sorpresa: vi si parla infatti di “Erudizione tra pedantesca e oziosa”, che non è una bella cosa, cioè uno non è contento che gli si dica che la sua erudizione è pedantesca e oziosa. Eppure l’articolo s’intitola L’importanza di essere “polymath”. E allora? Cosa c’entra questo col potere delle storie?
Cosa succede quando devo raccontare una storia?
Succede che mi devo informare di un sacco di cose. Se un racconto verte sulla burocrazia, allora devo studiarmi i meccanismi di alcune leggi e della loro applicazione. Se devo scrivere la storia di un’azienda che si occupa di chimica, devo leggermi un po’ di libri che mi introducano in quel mondo, stesso dicasi se mi metto a scrivere un romanzo sulla fine del sesso (che, detto tra di noi, è passato di moda…).
Socrate in effetti non aveva una buona opinione dei Poeti, gente dotata di buona memoria ma di nessuna conoscenza, o almeno così ci dice nell’Apologia (vedi qui se sei curioso). A suo giudizio sapevano molto poco di molte cose, dunque non potevano ritenersi fonti di conoscenza.
Pedante, ozioso, semplicemente dotato di buona memoria, e magari anche di qualche capacità compositiva: vista così sarei sostanzialmente un intrattenitore, utile la sera a fine banchetto, prima che svariate tecnologie mi sostituissero.
Ma torniamo al punto: per scrivere una buona storia bisogna sapere un sacco di cose attorno ad argomenti che non si conosceranno mai. Bisogna essere polymath.
E infatti l’autore dell’articolo di cui sopra ribalta il valore di questa parola: la definisce come la “personale tendenza all’eccellenza in diverse discipline, e alla capacità di unirle per generare il cambiamento”.
Che bella cosa: il valore di una parola cambia di segno, e noi scopriamo due cose nuove (e io metto due volte i due punti in una sola frase):
- Le parole e il loro significato cambiano nel tempo. E cambiano perché cambia il nostro modo di guardarle: quello che ieri stigmatizzavamo oggi potremmo indicarlo come valore positivo, e domani chissà;
- Di fronte a tanti saperi e a tante specializzazioni può tornare utile la capacità di non conoscere tutto nel profondo, ma di sapere abbastanza di molte cose per poter indicare orizzonti, direzioni, prospettive. E se abbastanza è già troppo, allora va bene anche meno di abbastanza. Questo fa, o può fare, chi racconta storie, questo mi interessa.
D’altronde a chi guida la nave fino al porto non è necessario, né forse possibile, conoscerne a menadito i fondali. A lui basta sapere che ci sono dei fondali, che sono diversi da quelli del mare aperto, che in porto c’è qualcuno che saprà guidare la nave meglio di lui, almeno in quel tratto.
Veniamo al libro da leggere
E allora mi viene da suggerire un libro: Potere alle parole, di Vera Gheno. In effetti da anni mi obbligo a leggere almeno un libro l’anno sulla lingua e sulle sue regole (in realtà sono di più, ma uno all’anno è ai miei occhi il minimo indispensabile, sotto cui non si può e non si deve scendere), e il primo del 2020 è stato questo. L'idea di fondo ha molto a che fare con primo punto del paragrafo precedente: l’Italiano è una lingua che tra le altre cose ha un bel numero di bellissime parole, e imparare a "usarle meglio", come recita il sottotitolo di questo libro, mi pare un buon obiettivo (di più: per chi come me è anche molto curioso, a pag. 108 si racconta la vera storia di petaloso!)
Così, alla fine, saprete qualcosina in più di qualcosa che usate tutti i giorni ma di cui non siete e non potrete mai essere grandi esperti (a men che non sia il vostro mestiere...): la lingua.
È da qui che comincia qualunque polimatia.
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