
I fisici hanno introdotto l’idea di materia oscura quando hanno scoperto che c’era qualcosa che non interagiva con i loro strumenti. E ce n’era tanta!
Come hanno fatto ad accorgersene? Perché la materia visibile (nel senso di quella che interagisce con gli strumenti di misurazione) non bastava a spiegare un sacco di roba, quindi ce ne doveva essere altra che loro non erano in grado di intercettare.
Le diedero un nome, tra l’altro così affascinante e misterioso, e la introdussero nel mondo delle cose per noi esistenti, la crearono.
Almeno nel senso che la crearono per noi e per se stessi.
Contrariamente a quanto si è portati a pensare sono le parole che fanno le cose: le cose stesse non esistono almeno fino a quando qualcuno non gli dà un nome, fino a quando qualcuno non le trasforma in parola.
In principio è il verbo.
O il Verbo, per chi ci crede.
(Il quale Verbo non è nominabile. In quanto Creatore e non creato, mi vien da pensare. Il quale Creatore creò nominando: “Sia la luce” disse, tra l’altro).
Quando ho scritto Libréria - Il sussulto dell’indipendenza è proprio dalle parole che sono partito. Ero visitato, magari mentre stavo guidando, o passeggiando, o chiacchierando con mia moglie, da strani nomi, di cui non sapevo nulla: Librolo, Libracca, Librorso, Librand, Libreccio, e via nominando.
Ognuna di quelle parole prendeva vita nella mia fantasia appena la pronunciavo, e ognuno di quei personaggi (o di quei luoghi, o di quei concetti) nasceva dalla mia penna suggerito dal nome stesso che lo designava.
E, è stato stupefacente anche per me, ognuno ha preso a esistere un’esistenza propria che io dovevo solo descrivere, solo a partire da un nome nato da un gioco bambino.
Le cose acquistano esistenza e identità quando hanno un nome
Bisognerebbe stamparselo da qualche parte.
Per fare un esempio: gli altri hanno un cellulare, o uno smartphone. Io ho un iPhone.
Gli altri hanno un PC, io un Mac.
Gli altri hanno un orologio, io un Rolex (no, non è vero, non ho un Rolex, ma è solo per rendere l’idea. Se dicessi che orologio possiedo passerei per quello che sono, un fissato).
Ancora una volta è il nome che fa la cosa: gli altri hanno un oggetto funzionale e magari anche migliore del mio, io partecipo di un’identità.
Che è cosa ben diversa.
Secondo me è il nome che ha reso alcuni oggetti mitologici, e non la loro eventuale e opinabile superiorità rispetto al resto dell’offerta. Superiorità eventuale e sempre discutibile.
Dare nomi è dunque fondamentale per chi vuole presentare al mondo qualcosa di nuovo: lo sa qualunque genitore, lo sa chiunque avvii una nuova impresa.
Ma si è persa di vista la forza creatrice di questo gesto: oggi è più comune vedere nomi scelti perché suonano bene che perché hanno qualcosa da dire. Se nominare resta una mera azione estetica o estetizzante, allora smette di essere un’attività creatrice.
È troppo alto il rischio di scivolare nell’ovvio. O nel vuoto.
Giochiamo un po’
Termino con un suggerimento, un gioco, da cui potrai trarre giovamento qualunque cosa tu faccia nella vita: gioca con le parole, inventale e scoprile, magari giocaci con i tuoi figli, se ne hai, o fatteli prestare se non ne hai di abbastanza piccoli a disposizione (questa l’ho rubata ma non ricordo a chi...): ne trarrai grande gioia, e scoprirai che il tuo immaginario è un universo molto più vasto e denso di quanto le tue parole sappiano già dire.
Libréria - Il sussulto dell’indipendenza

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