
Una certa casualità guida molte delle mie azioni, e (forse) è stato proprio il caso ad aver guidato queste due mie letture che, guardacaso (!), hanno entrambe a che fare con l’invenzione.
E dunque con la creatività.
E dunque con la capacità di inventarsi problemi e di risolverli.
E dunque con la struttura fondamentale di ogni storia.
Sì, è vero, siamo tutti inventori
Ma parto dal primo: Siamo tutti inventori di Temple Grandin (Rizzoli). Lei l’ho conosciuta perché me ne ha parlato un amico, dopo avermi mostrato il trailer di un film che la riguarda. È una “scienziata americana, esperta di Scienze del comportamento animale e di autismo, sindrome da cui lei stessa è affetta”. Così recita la quarta di copertina. E proprio lei che viene chiamata in giro per gli Stati Uniti a risolvere problemi legati agli allevamenti, e a trovare soluzioni tecniche a problemi tecnici, racconta in questo libro come si fa ad allenare la capacità di diventare inventori.
E come si fa?
Facendo, provando e riprovando, fin quando l’aeroplano non vola, e poi quando vola provando e riprovando ancora, fin quando non vola diversamente. Che la cosa funzioni non deve né può bastare: bisogna essere sufficientemente curiosi da voler provare a piegare le ali prima in un modo, poi in un altro, e poi in un altro ancora. E poi cambiando una piega, e poi cambiando l’altra, e poi provando ancora.
A questo invita Temple Grandin, e a me pare un ottimo consiglio: il libro è rivolto ai ragazzi, diciamo dai dieci/undici anni, ma me lo sono goduto alla grande.
Ci sono un sacco di esperimenti da fare, insieme alle storie di invenzioni e di inventori.
Utile e interessante.
Bisogna allenarsi a trovare soluzioni possibili a problemi immaginari
Perché poi uno dovrebbe allenarsi a risolvere problemi quando il problema che aveva lo ha già risolto? Perché mai uno dovrebbe occuparsi di inventarsi problemi immaginari quando la vita è già così piena di quelli reali?
Primo perché è bello e regala grandi soddisfazioni in sé.
Intendo come pratica.
Un po' come giocare a ping-pong.
Per dire.
Poi perché ci sono problemi che per quanto fantasiosi ci paiano non sono poi così immaginari. Nel senso che qualcuno ci ha provato davvero.
Il secondo bel libro di cui vi voglio parlare oggi s’intitola Il pipistrello bomba, è stato scritto da Vince Houghton (che io non sapevo chi fosse, ma la quarta di copertina dice che è il curatore dell’International Spy Museum di Washington) ed è edito da Bollati Boringhieri.
Il titolo ci regala già qualche suggerimento: si riferisce a quella volta in cui l’esercito statunitense pensò di usare i pipistrelli per bombardare i giapponesi. Poi non se ne fece nulla, ma solo dopo averci provato e riprovato. Oppure uno potrebbe essere interessato al gatto cimice, cioè al gatto trasformato in un impianto ricetrasmittente per usarlo come spia in territorio russo. E via dicendo.
Un libro su “assurdi progetti militari (per fortuna) mai realizzati”, come recita il sottotitolo. Se è già di per sé è un testo spassosissimo, la cosa più spassosa di tutte è che non c’è nulla di inventato: l’autore è uno storico, e da bravo storico si rifà a documenti, e un lettore come me scopre che un sacco di gente molto seria, come potevano essere i responsabili della Difesa statunitense, per dire, aveva una fantasia sfrenata e meravigliosa.
Da leggere, non fosse per altro che per farsi qualche bella risata.
E abituarsi a pensare a lato della realtà.
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