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Il valore di una spremuta


Ecco una storia: sono in un centro Commerciale con mia moglie e mia figlia, hanno voglia di una spremuta e ci avviciniamo a uno dei tanti bar per ordinarla. Mia moglie si accorge che la barista ha la mascherina abbassata, me lo fa notare e io resto a guardare. Quando la spremuta è pronta la ragazza si gira, con la mascherina che intanto è scesa sotto al mento, e ci porge i due bicchieri:

“Le vostre spremute”.

Mi moglie mi si avvicina e mi dice che lei così non la beve, è pericoloso, mi dice.

In effetti la ragazza è giovane e potrebbe essere asintomatica, le parole “vostre” e “spremute” sicuramente producono una maggiore emissione di goccioline, e in ogni caso esistono delle regole che vanno rispettate.

Lo faccio notare alla signorina, che cambia tono e atteggiamento.

Dopo avermi spiegato che lei la mascherina non la tollera più, con ben altre parole ci propone, di fronte al mio silenzio e alla mia fermezza (!), di rifare le spremute, tanto a lei non importa nulla (e anche qui le parole sono diverse).

Accetto l’offerta, lei rifà le spremute brontolando, ce le consegna mantenendo la mascherina al suo posto, e continua a brontolare guardandoci anche quando noi ci siamo allontanati dal banco.

Mi sento a disagio, anche se so di avere ragione, ma questo non è importante.

“Buona, questa spremuta” mi dice mia moglie “Ma qui non ci torniamo più”.

Ecco il punto. In quel bar non ci torneremo, e probabilmente eviteremo tutti i bar di quella catena. Se fossi stato un tipo diverso avrei anche fotografato l’insegna e avrei postato l’accaduto su qualche social con nome e cognome del bar.

Cose che succedono spesso.


Perché racconto questa storia? Perché talvolta mi accade di incontrare persone che non sono consapevoli di essere, dal momento in cui mi rivolgono la parola, espressione dell’azienda per cui stanno lavorando. Ascriverò non a loro ma alla loro azienda ogni loro azione ed espressione, e darò il mio giudizio di conseguenza.


Detto che l’errore fa parte dell’esperienza umana, non è questo singolo caso a colpirmi, ma non è la prima volta che mi chiedo, in un negozio di catena, se qualcuno si pone il problema di spiegare questa cosa alle persone che sono il volto dell’azienda verso il cliente.

Le ragioni possono essere molte, e qualcuna la intuisco, ma non mi sembra una buona politica. Certo non basta la formazione, occorre creare attaccamento all’azienda, occorre far sentire le persone una parte di qualcosa di più grande, e di cui vanno fiere. Occorre anche questa roba qui, lo capisco.

Eppure ci sono posti in cui succede diversamente, posti in cui mi sento accolto, posti in cui noto le mille attenzioni di chi mi sta servendo. In genere da tutto lo staff.

E allora vuol dire che si può fare (vedi qui un esempio)

PS: Solo per chi ha voglia di un’altra domanda: ho raccontato questa stessa storia ad alcuni amici, e tutti mi hanno chiesto la stessa cosa. Cos’ha fatto il responsabile? Mi hanno chiesto. Niente, ho risposto, nessuno ha fatto e detto niente. Come si chiama la catena?, mi hanno chiesto poi. Non mi ricordo ho detto io.

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Commenti: 3
  • #1

    Alessandro (lunedì, 01 febbraio 2021 22:04)

    Bell'articolo Giovanni,
    Spesso mi trovo anche io a di foronte a situazioni del genere ed effettivamente è facile trasporre il comportamento di una persona al brand che rappresenta.
    Io personalmente credo sia una questione di identità.
    L'identità di una persona è differente dall'attività.
    Fare una cosa è diverso dall'essere quella cosa e lo si riscontra ad esempio nello sport o nei ruoli sociali, quelle cose "le siamo" mentre è facile togliersi dalle responsabilità quando quelle stesse cose "le facciamo".
    Ecco, visto che spesso mi trovo in difficoltà a spiegare questo concetto alle persone che formo..
    Da oggi ti rubo questo esempio.
    Ma citerò sempre la fonte, perché tu e le tue azioni rispecchiano la tua persona, il tuo brand personale.
    Grazie e a presto!
    Ale

  • #2

    barbara.losa78@gmail.com (lunedì, 01 febbraio 2021 23:27)

    Sempre interessanti i tuoi scritti, un piacere da leggere e fanno riflettere..
    Concordo in pieno su tutto, anche su quanto detto da tua moglie!�
    In ogni caso occorre trovare un altro bar o comprare delle arance, la vit C è necessaria più che mai�
    Vado a leggere l'altro..�

    Barbara

  • #3

    Elena (martedì, 02 febbraio 2021 14:14)

    Sentirsi il volto dell'azienda è un po' più facile in un piccolo contesto, magari familiare, dove si lavora in squadra per un obiettivo comune. Ma nelle catene credo che he la singola persona sia considerata un numero...se non ci sei tu ci sarà un altro... e quindi questa consapevolezza é molto più sfuggente.
    Ciò premesso se c'è un responsabile verificare la correttezza del comportamento dei dipendenti è una sua precisa responsabilità, quindi il primo non consapevole è proprio lui