I giorni del Covid-19 saranno giorni raccontati, analizzati, studiati per molto tempo.
Ne parlavo giorni fa con un'amica al telefono, le dicevo dei miei timori: al netto della paura del contagio, sempre possibile ma sulla quale c'è poco da dire, le spiegavo che quello che più mi spaventa è quello che verrà dopo.
Con lei mi sono dedicato a uno dei miei sport preferiti, le analisi da bar: cosa succederà nel mondo dei libri, ad esempio, se già ora gli editori dimezzano le consegne e ridurranno di molto le uscite? Ecco una filiera che avrà molti problemi, dopo, a prescindere dai denari messi in campo dai governi.
E del turismo? Di che vivrà tutta quella gente che fino ad ora di turismo ha vissuto e, per un po' almeno, dovrà fare i conti con l'assenza, o quantomeno la scarsa disponibilità di turisti?
E le costruzioni? Laddove si perde la certezza del lavoro, dunque di un'entrata più o meno fissa, dunque della propria capacità di sostentarsi e di mantenere i propri cari, quanto verrà dirottato dai lavori in casa su altre priorità?
Il gioco può continuare, ma quello che mi interessa è che il dopo ci metterà di fronte situazioni che già adesso possiamo mettere in conto, almeno in parte.
Dunque?
Ragionare in maniera narrativa
Da narratore sono abituato a immaginare scenari: questo aspetto del mio mestiere consiste nel mettere qualcuno in un guaio che lui non si era immaginato e poi stare a vedere come ne verrà fuori. Se ne verrà fuori (tecnicamente il fatto che se la cavi o meno non cambia nulla).
In altri termini io ragiono secondo logiche narrative, e questo mi permette di immaginare mondi possibili e coerenti coi dati a mia disposizione. Questa immaginazione non mi porta solo a inventare problemi plausibili (o anche non plausibili), ma mi costringe subito dopo a vagliare un ventaglio di possibili soluzioni, per poi indurmi a scegliere quella che secondo le linee di forza interne alla storia sarà la soluzione necessaria a quella storia.
Dunque devo:
- procurarmi i dati utili alla costruzione di quegli scenari
- organizzarli in una cornice di senso
- dar loro un senso e una direzione seguendo le linee di forza interne alla storia che sto immaginando.
Perché questa abitudine è utile anche a chi non scrive per mestiere?
Semplice: perché, come dicevo alla mia amica, in questi giorni di anomalia professionale ho nei miei confronti l'obbligo di non limitarmi aspettare che tutto questo finisca, né di correre verso soluzioni immediate apparentemente efficaci che mia diano la sensazione di fare qualcosa.
Devo prepararmi agli scenari che verranno, e dotarmi degli strumenti necessari ad affrontarli quando si presenteranno.
Nulla come il pensiero narrativo mi può aiutare in questa direzione.
Se posso dare un consiglio
Leggete, guardate, informatevi: nutritevi delle storie degli altri e allenate la vostra immaginazione. A prescindere da questa pandemia il cambiamento sarà sempre più spesso lo stato naturale delle cose, e l'unico modo che abbiamo per non farci trovare del tutto impreparati è immaginarcelo prima.
Così come i narratori fanno da sempre.
E vi consiglio anche una lettura: L'istinto di narrare, di J. Gottschall.
Fidatevi.
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